Il Vitellone Bianco dell’Appennino centrale IGP è una storia che dura da più di 25 anni. Una storia che racconta passione, che nel tempo si è trasformata in una vera e propria eccellenza. Questo grazie a tutti gli attori della filiera rappresentata dagli allevatori, dai macellai arrivando fino ai ristoratori. Ed è qui che si sviluppa il ruolo del Consorzio di Tutela: garantire agli ingranaggi di questa catena di legarsi bene tra loro con l’obiettivo comune di valorizzare ogni singolo passaggio e qualificare il prodotto finale.
Merito di tutto questo va anche a chi, in tutti questi anni, ha saputo tirare le fila senza mai imporsi, cercando di creare sinergie, mantenendo il prodotto sempre attuale e ambito da un mercato di qualità. Tra questi Stefano Mengoli che ha rivestito, fino a pochi giorni fa, il ruolo di presidente del Consorzio per oltre 20 anni con cui abbiamo voluto lasciarci con un ultimo saluto e una sua riflessione sugli anni trascorsi e quelli a venire.
Presidente, o forse sarebbe meglio dire presidente emerito, è giunto alla fine del suo mandato, ma se ci voltiamo indietro che cosa possiamo dire del percorso fatto fino a qui?
“Il consorzio è nato formalmente nel 2003 ma il percorso che ha portato alla sua costituzione è iniziato molto prima. Dopo l’autorizzazione dell’UE arrivata nel 1998 e l’effettiva attivazione dei controlli, è risultato da subito necessario seguire direttamente l’intera attività di certificazione a supporto dell’Organismo di Controllo. Di seguito la necessità di tutelare il marchio e la denominazione e di promuovere e valorizzare il prodotto ha richiesto di costituirci come Consorzio di Tutela ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte del Ministero. Come saprete la forma consortile, che è volontaria nell’ambito delle DOP e IGP, è un’esperienza tutta italiana, infatti non esistono realtà di questo tipo in alcun paese europeo. Sono stato da subito scelto in qualità di presidente credo per il fatto che già prima che nascesse il Consorzio mi occupavo di queste razze avendo anche seguito, in prima persona, tutti questi passaggi compresa la stesura e la presentazione a Bruxelles della domanda di riconoscimento a metà degli anni ‘90. Oggi, a distanza di oltre 20 anni di “carriera”, credo fosse necessario lasciare il timone”.
Quindi nel suo bilancio Mengoli è promosso o bocciato?
“Un bilancio lo dovrebbero fare gli altri (ride ndr), chi guarda dall’esterno ha una visione più imparziale, anche se forse meno profonda. Alcuni risultati, però, parlano da soli. Oggi più del 90% della produzione delle tre razze coinvolte avviene all’interno del territorio previsto dal disciplinare. Oltre il 70% di essa è certificata Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale e questo è un risultato che ci gratifica. Dal punto di vista economico, la situazione è più complessa e varia nel tempo. In generale: queste produzioni hanno sempre ottenuto una quotazione superiore rispetto a prodotti analoghi di diversa origine. Oggi viviamo un momento particolare: in tutta Europa i prezzi della carne bovina sono aumentati in modo imponente, un livello mai visto negli ultimi 40 anni. Questo rende difficile mantenere il nostro vantaggio competitivo. Prodotti come la chianina o la scottona hanno quotazioni elevate. In ogni caso, noi non dobbiamo rimanere a guardare il successo altrui, al contrario dobbiamo rimboccarci le maniche e continuare a lavorare come abbiamo sempre fatto”.
Come spesso capita nella vita, ci sono luci e ombre
“Ovvio che dove c’è la luce, anche se nascosta e impercettibile l’ombra è sempre presente. Non è razionale pensare che all’interno del Consorzio tutto vada liscio, anzi, l’abilità sta proprio nel riconoscere le criticità e cercare di affrontarle tempestivamente. Per esempio, tralasciando i ricavi, è indubbio il fatto che la produzione è in continua diminuzione, le aziende sono piccole e spesso localizzate in aree marginali – colline e montagne – dove il territorio stesso è un limite e dove i fattori antropici (basso ricambio generazionale, basso reddito) complicano la sostenibilità economica e sociale. Le recenti politiche agricole comunitarie, inoltre, non ci hanno favorito. Hanno tolto incentivi alla produzione di qualità e introdotto parametri quasi esclusivamente ambientali. Questo ha contribuito, in modo più o meno consapevole, alla diffusione di una narrativa distorta: quella del bovino che inquina, senza distinzione tra situazioni profondamente diverse. Oggi è difficile avere un Paese forte sul tema dell’agricoltura e dell’allevamento, perché sono diventate politiche prettamente europee. Il grande problema, però, è sempre stato confondere una parte per il tutto. Ecco allora che l’allevamento estensivo, come il nostro, si fa carico delle accuse rivolte agli allevamenti intensivi. Questo però è il corredo di un immaginario collettivo che non rispetta la realtà e soprattutto, cosa ancora più importante, non è confermato da alcun dato scientifico”.
Quindi manca l’appoggio di una politica che sappia portare avanti il tema degli allevamenti e dell’agricoltura italiana?
“Serve il coraggio di distinguere e premiare le produzioni virtuose. Non tutte le produzioni bovine hanno lo stesso impatto ambientale. Il nostro ciclo produttivo non consuma acqua nel senso proprio del termine: usiamo acqua superficiale, derivata dalle piogge, non sfruttiamo falde fossili né causiamo cunei salini. Eppure, si continua a trattare tutte le produzioni allo stesso modo, ed è un danno per l’economia e per le produzioni storiche dei nostri territori. Se non facciamo queste distinzioni in modo netto, le prime a entrare in crisi saranno proprio quelle realtà che invece dovremmo valorizzare. E questo vale anche per la percezione del pubblico, che spesso ignora queste differenze o le sottovaluta. Occorrerebbe che le politiche comunitarie e nazionali lo riconoscessero. È vero che le competenze sono oggi in gran parte europee, ma anche il nostro Paese potrebbe fare la sua parte”.
Adesso, invece, il testimone passa a Enrico Salvi, che cosa si sente di dire e quale futuro vede per il Consorzio?
“Come ho già detto, il suo mandato parte in un momento molto critico per questa produzione. Il punto dolente è che non stiamo riuscendo a conservare e accrescere il settore come vorremmo. Al nuovo presidente faccio un grande in bocca al lupo. Lo conosco da tanto tempo, viene da una lunghissima esperienza come allevatore. Ha l’esperienza, il supporto della struttura del Consorzio e del consiglio tutto, e sa bene che la sfida davanti a lui non è semplice. Quello che ci attende nei prossimi mesi ed anni è un passaggio epocale: far sì che queste produzioni non siano solo una sopravvivenza del passato, ma una scelta consapevole da parte dell’intera filiera per il prossimo futuro”.