Il mercato della carne bovina in Italia è caratterizzato, in questo periodo, da una situazione complessa, con dinamiche che riflettono sia fattori interni che internazionali.
Produzione e consumo
- Deficit produttivo:L’Italia è un paese fortemente deficitario nella produzione di carne bovina. La produzione nazionale copre circa il 40-45% del fabbisogno, il che significa che circa il 60% della carne bovina consumata in Italia proviene dall’estero. I principali paesi fornitori sono la Francia, la Polonia, l’Olanda e la Germania.
- Volumi totali:L’Italia produce tra le 750.000 e le 800.000 tonnellate di carne bovina all’anno; di questa quasi la metà è ottenuta da capi nati in altro paese U.E. quindi oltre i due terzi della carne bovina consumata in Italia o proviene direttamente dall’ estero o proviene da capi nati all’estero
- Produzione interna in contrazione:Il patrimonio bovino italiano è in preoccupante calo negli ultimi due anni. Le nascite di vitelli da vacche italiane di razza Piemontese Marchigiana Romagnola e Chianina (che rappresentano quasi la metà delle vacche nutrici italiane) si sono ridotte di quasi il 20%. Le piccole aziende tendono a chiudere, mentre quelle più grandi aumentano il numero di capi allevati.
- Consumi:Il consumo pro capite di carne in Italia è inferiore alla media europea, con una tendenza alla riduzione. I consumatori sono sempre più attenti a fattori come la salute, l’ambiente, la qualità, costo. Questa consapevolezza ha portato a una crescita dell’interesse per le carni a marchio DOP/IGP, per le alternative vegetali e per le produzioni estere quali Angus
Andamento dei prezzi
- Aumento dei prezzi:I prezzi della carne bovina in Italia, al pari di quella europea, hanno subito un notevole aumento negli ultimi anni, sia all’ingrosso che al dettaglio, con incrementi che vanno dall’100% per le vacche al 50% per i vitelloni. Questo trend è determinato da diversi fattori, tra cui:
- Costi di produzione elevati:aumento del prezzo dei ristalli sia nazionali ma soprattutto francesi con variazioni, in questo ultimo anno, che superano di gran lunga il 50% e l’aumento delle materie prime (anche se più contenuto). Tutto ciò ha provocato un significativo aumento dei costi produttivi di almeno il 40% – 45% rispetto l’anno scorso, erodendo la redditività per gli allevatori.
- Domanda e offerta:offerta limitata, determinata anche dalle politiche di riduzione delle mandrie zootecniche stimolata dalla recente PAC Comunitaria unita a una domanda letteralmente esplosa da parte del nord Africa e della Turchia (che si approvvigionano di carne bovina e di animali vivi, pronti per la macellazione, nell’Europa continentale ed insulare e perfino in Italia), hanno creato fortissime tensioni sui prezzi.
- Fattori internazionali:domanda globale in crescita, in particolare da nuovi mercati: Asia Maghreb, Africa nel suo insieme, per la prima volta dopo 40 anni di produzioni mondiali di carne bovina eccedentarie rispetto alla domanda ha mutato l’equilibro domanda offerta. Si profila un lungo periodo di domanda prevalente sull’offerta. Tutto ciò favorito dalla riduzione della capacità produttiva dell’Europa nel suo insieme e degli Stati Uniti.
Import ed export
- Ruolo dominante dell’import:Data la forte dipendenza dalle importazioni, il mercato italiano è molto sensibile alle dinamiche dei paesi fornitori. L’import di carne bovina è una componente fondamentale per soddisfare la domanda interna. In questa ottica si prospetta una grossa difficoltà ad approvvigionarsi di quei 800.000/900.000 vitelli da ingrassare in Italia, anche per il futuro, provenienti dalle mandrie di vacche nutrici del centro nord Europa. Questo sistema, da oltre 40 anni, fa parte del nostro metodo produttivo e da ciò il rischio che l’intera filiera del Francia/Italia, su cui su basa gran parte della Zootecnia da carne padana, collassi nel giro di pochi anni. A tal riguardo già questo anno si sono visti chiari segnali in tale direzione;
- Bilancia commerciale:La bilancia commerciale per la carne bovina rimane deficitaria, a differenza di quella per la carne suina e avicola che risulta più equilibrata. L’Italia esporta una quantità limitata di carne bovina.
- Nel 2023, su un totale di 1.356.759 capi bovini macellati in Italia, 659erano nati all’estero ma ingrassati sul territorio italiano.
- Ciò significa che il 65,35%dei bovini da carne macellati in Italia proviene da altri Paesi, mentre solo il 34,65% (470.100 capi) è nato in Italia.
In sintesi, il mercato della carne bovina in Italia è caratterizzato da un forte deficit produttivo, una contrazione del patrimonio allevato e un aumento dei prezzi. I consumi sono in calo, ma cresce l’interesse per i prodotti di qualità e certificati. Le dinamiche globali e i costi di produzione rimangono i principali fattori che influenzano l’andamento del mercato.
L’andamento della produzione italiana di carne bovina è caratterizzato da una dinamica complessa, influenzata da vari fattori sia a livello nazionale che europeo.
- Patrimonio bovino:Il numero di allevamenti specializzati per la produzione di carne è in calo così come il numero di vacche nutrici che ha mostrato un calo di circa il 5%,
- Competenze e professionalità:La “decapitalizzazione” delle mandrie, avvenuta negli anni passati, ha comportato anche una perdita di competenze e professionalità specifiche per l’allevamento della linea “vacca-vitello”. Ricreare queste competenze è una sfida complessa
- Mercato globale:A livello europeo, la produzione di carne bovina ha registrato una tendenza negativa negli ultimi anni. L’Italia, pur con le sue specificità, si inserisce in questo contesto, affrontando sfide legate alla competitività e ai costi di produzione
- Forte dipendenza dall’estero:L’Italia importa la stragrande maggioranza (circa l’80%) dei vitelli da ingrasso, principalmente da Paesi come la Francia. Questa dipendenza crea una vulnerabilità per il settore, esposto alle fluttuazioni dei prezzi e della disponibilità di capi sui mercati esteri.
- Ruolo delle razze autoctone:Un aspetto importante di questo andamento è il ruolo delle razze autoctone italiane da carne (es. Chianina, Romagnola, Marchigiana, Piemontese ecc.). Sebbene rappresentino una quota minoritaria del patrimonio bovino totale (circa il 50% delle vacche nutrici nazionali), la loro valorizzazione e il sostegno alla loro produzione sono considerati strategici per la qualità e la sostenibilità della filiera
Alcuni dati sul Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP
I dati relativi alla filiera del Vitellone bianco dell’Appennino Centrale risentono di quanto già detto.
Prendendo come riferimento il periodo gennaio-agosto di ogni anno, vediamo come in particolare nel 2025 si siano verificati importanti cali sia nelle certificazioni totali (tabella 1) sia per singola razza (Tabella 2) dove, soprattutto la marchigiana, ha accusato maggiormente le conseguenze già analizzate, soprattutto per il fatto che questa razza è rappresentata da molte aziende e molto piccole.
Tabella 1: certificazioni IGP Vitellone Bianco nel periodo gennaio- agosto per anno
Tabella 2: certificazioni IGP Vitellone Bianco nel periodo gennaio- agosto per anno e razza
Questo calo delle certificazioni non è determinato da un calo di richiesta di prodotto bensì da un preoccupante calo delle disponibilità di capi certificabili. Nel grafico a seguire è, rappresentata la differenza mensile, rispetto al mese dell’anno precedente, del numero di capi di età compresa tra 16 e 24 mesi distinto per razza.
Da questi dati risulta che a settembre 2025 nelle nostre aziende ci sono 534 capi in meno di razza marchigiana, 1506 capi in meno di razza chianina e 133 capi in meno di razza romagnole rispetto a settembre 2024.
Questa situazione di carenza di offerta, se da una parte sta aumentando il prezzo del vitellone da macello (e di conseguenza del vitello da ristallo), dall’altro sta creando gravi problematiche all’intera filiera che si trova a non poter soddisfare le richieste del mercato.
Approfondiremo meglio questi dati affrontando specificatamente questo tema nella prossima news letter.
Prospettive e proposte per il futuro:
- Tendenze del consumo:Il consumo pro capite di carne bovina in Italia è in lieve calo, con un orientamento crescente verso alternative più economiche ed una maggiore attenzione a certificazioni e qualità del prodotto.
- Investimenti:Per rispondere alla domanda interna e ridurre la dipendenza dalle importazioni, sono necessari investimenti volti a potenziare la linea “vacca-vitello” nazionale.
- Iniziative auspicabili:
- ripristinare aiuti ai percorsi che portano a termine la filiera produttiva (non premi alla vacca ma al vitello vivo a 6 mesi dalla nascita, non premi ad ettaro sul terreno dell’allevamento ma al capo effettivamente portato al macello).
- Gli allevamenti debbono essere stimolati a produrre e non ad andare alla caccia del premio per sopravvivere;
- il premio deve legarsi proporzionalmente alla produzione, solo così si ha sostenibilità economica ed ambientale; se le vacche nutrici non partoriscono l’impatto ambientale sale proporzionalmente.
- Legare i premi di macellazione all’ utilizzo reale di circuiti di produzione di qualita (DOP-IGP):è possibile aumentare le mandrie solo se si produce qualità. Le nostre vacche nutrici hanno costi produttivi superiori rispetto alle vacche del centro nord Europa e queste ancora superiori alla media mondiale.
- Semplificare la normativa ambientale e relativa al benessere animale nelle sue declinazioni consentendo verticalizzazioni più specifiche relative a singole voci, senza andare a legare i premi a strumenti complessi e per nulla elastici come il Classifarm e l’SQNBA (adottato proprio per questo da solo il 2% degli allevamenti italiani per via della sua complessità ed astrattezza).
- Abbiamo bisogno di una politica agricola che leghi la produzione non solo a protocolli ambientali, come avviene ora con pessimi risultati sul campo, ma torni a guardare ad efficienza professionalità e soprattutto alla qualità.